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Dal numero 4:

L'esule pellegrino della Libertà



Il 9 febbraio u.s, alle ore 17,00 presso la Basilica di San Giovanni in Laterano in Roma, nella Cappella di S. Venanzio sita nel bellissimo e suggestivo Battistero, è stata celebrata dall’Arcivescovo Emerito Szczepan Wesoly e dal Monsignor Morawiec Bronislaw, la Santa Messa in memoria dei Caduti giuliani e dalmati. Con molto calore ed onore è stata ricordata la figura di Fra Giulio Rella, definito come un “Don Bosco dei Giuliani”.
L’Arcivescovo Wesoly ha descritto la storia dell’esodo giuliano-dalmata come una storia di dolore: il distacco dalle proprie radici, storiche, culturali ed anche religiose. La violenta oppressione del regime comunista jugoslavo ha negato ogni libertà, quella libertà che è donata da Dio attraverso il Cristo. Sono ormai note a tutti le violenze contro la Chiesa cattolica ed ortodossa nell’ex URSS e nei paesi satelliti; come, ormai, dovrebbero essere note le vicende di quanti per amore di libertà, che è anche libertà religiosa, sono stati esuli e pellegrini nel mondo.
Nel suo scritto Il pellegrino della libertà, Gustaw Herling, sulla scia di Benedetto Croce, scrive della “religione della libertà” e narra le proprie vicende caratterizzate dalla repressione nazista, prima, e comunista, poi. Martha Herling nell’introduzione scrive: “Il pellegrino di Gustaw Herling è una figura scolpita nella pietra che si staglia nell’apparente immobilità del suo cammino, sullo sfondo delle montagne che circondano i luoghi della sua infanzia e giovinezza in Polonia. La sua forza è nella roccia da cui ha preso forma e che gli ha dato vita, il suo movimento è nello sguardo rivolto oltre la linea dell’orizzonte”. Mai definizione ha ritratto meglio la situazione degli esuli. La vita plasmata nella roccia carsica istriana, sullo sfondo delle montagne -come il Monte Maggiore della raffinata ed elegante Fiume che si lanciano nel mare, lo stesso mare azzurro e verde della Dalmazia, è scolpita nella forma di ricordi indelebili. Gli esuli, anch’essi pellegrini della libertà, dimostrano ancor’oggi la difficoltà ed il coraggio di quella dolorosissima scelta: lo sradicamento -enracinement, parafrasando Simone Weil- dalla propria terra, che significa annientamento, distruzione. Ma, anche, ricostruzione, identità. [...continua nel numero a stampa] (Roberta Fidanzia)


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